Brave Browser, sovranità dell’identità digitale
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Tempo fa, ho letto un lungo e approfondito articolo di Darren Loucaides su WIRED US, che racconta della nascita del Movimento 5 Stelle ma soprattutto della piattaforma Rousseau, che oggi è utilizzata dagli attivisti del Movimento 5 Stelle come strumento di democrazia diretta.
Questo strumento, insieme ad altri di cui poco si conosce, sono i pilastri della carriera di un uomo di nome Gianroberto Casaleggio e del suo mentore, Adriano Olivetti. Una vera e propria corrente filosofica che mette le decisioni dei partecipanti al centro della scena.
Strumento di democrazia diretta.
Per un momento, cerchiamo di dissociare la piattaforma Rousseau dal Movimento 5 Stelle e re-immaginare i concetti che questa voleva trasmettere, incorporare, definire. Se pensiamo in questi termini, ci accorgiamo che in realtà c’è un’altra corrente, che ora è divenuta una vera e propria industria, che sta da 10 anni portando lo stesso tipo di rivoluzione: è l’industria blockchain, nata con l’anonimo Satoshi Nakamoto nell’ormai lontano 2008.
Tramite la tecnologia blockchain, è possibile automatizzare il processo più difficile della storia della nostra società. Non si tratta di elezioni, di emendamenti, di partiti. Si tratta di democratizzare, realmente, la società. Rousseau è un progetto che oggi, nelle mani dei 5 Stelle, non è minimamente sfruttato a dovere. Ma questa è un’altra storia.
Questa è invece la storia di un progetto per il quale è stato necessario avviare una vera e propria transizione. Questa è la storia del passaggio da Chrome a Brave.
Quando si pensa alla propria identità digitale su internet, la più semplice idea è quella associata al proprio account Apple, o anche Google. L’account Google registra, tramite i vari servizi, tutta una serie di informazioni, aggregate e non:
- Informazioni di base (Nome, Cognome, data di nascita)
- Informazioni dettagliate (Indirizzo di residenza, numero di telefono, ecc.)
- Cronologia delle pagine web visitate (tramite Chrome)
- Cronologia dei luoghi visitati (tramite Maps)
- Interesse verso topic macro o di dettaglio (tramite AdSense)
- Cronologia degli acquisti (tramite Google Pay)
- Abitudini e comportamenti generali (tramite le app installate dal Play Store)
- Abitudini di utilizzo (tramite le statistiche in Android)
Anche l’account Apple registra alcune informazioni simili. Ovviamente ci sono anche altri tipi di account e in tutti i casi è possibile disattivare singolarmente il tracciamento e la registrazione di determinate informazioni.
Tutto questo, però, permette ai colossi informatici di sapere esattamente quale sia il comportamento aggregato di determinati segmenti di utenti, vendendo queste informazioni a terze parti che le sfruttano per indirizzare pubblicità dedicate.
Ora, se questo processo avvenisse anche a completo favore dell’utente (che quindi trova, durante la navigazione web, annunci che sono consoni ai propri interessi), il problema sarebbe in effetti compensato da un’offerta efficace.
La realtà dei fatti è, invece, molto diversa.
I banner pubblicitari, i video promozionali e le pubblicità a pop-up invadono costantemente la nostra esperienza di lettura e di navigazione, invadendo la nostra privacy e la nostra sanità mentale.
A nessuno piace essere bombardato di annunci che non hanno alcun senso e anzi, ostacolano la navigazione e la concentrazione. Ma questa è la scelta che, come utenti, si fa nel non approfondire il ruolo che si ha su internet. Ogni persona, ogni individuo, è come una pepita d’oro per qualsiasi azienda che lavori sul web: essere consapevoli del proprio ruolo e del proprio valore è un onere, quando si prende la decisione.
Ed è per questo che, qualche mese fa, ho iniziato una mia trasformazione ‘digitale’: ho disinstallato Google Chrome da tutti i miei dispositivi e ho installato Brave al suo posto.
Brave è un browser creato dal fondatore di Mozilla, quindi non proprio l’ultimo scappato di casa, pensato inizialmente con una ‘base software’ diversa da qualunque altro browser, ma poi allineatosi con la base software di Google Chrome, Chromium.
Questo non vuol dire che Brave è uguale a Google Chrome, bensì che utilizza gli stessi moduli open source ma con uno strato superficiale differente.
Brave è ancora un prodotto acerbo: l’ho provato più volte nel corso degli ultimi anni, e ricordo ancora quando aveva pochissime impostazioni ed un’interfaccia dalla discutibile intuitività. Oggi Brave è sicuramente più avanzato di qualche anno fa e i progressi incrementali si vedono già da oggi, seppur non tutti disponibili.
Innanzitutto, è disponibile per tutti i sistemi operativi: Windows, macOS, Linux, iOS e Android. Per quasi tutti questi sistemi operativi sono presenti tutte le funzionalità.
Brave è un browser indipendente e, come tale, affianca funzionalità non proprio di uso comune: per esempio, oltre alla classica modalità di navigazione in incognito (che cancella automaticamente la cronologia e i cookie sul dispositivo), esiste una modalità Incognito Tor, che oltre ad avere le stesse funzionalità della incognito ‘normale’, si collega direttamente alla rete Tor per anonimizzare il traffico nei confronti del proprio Service Provider.
Il modulo centrale che rende davvero Brave il browser indipendente che ho scelto per effettuare una ‘migrazione all’anonimato’ è la Brave Shield, che blocca direttamente tutte gli script e le funzioni della pagina web visitata, dai normalissimi banner fino ai tracker per i cookies. All’atto pratico, questo vuol dire che nella maggior parte dei casi si possono visitare siti web senza avere noiosi banner pubblicitari che appaiono in continuazione, ma può capitare che alcune volte la rimozione completa di script disabiliti delle funzioni principali di una pagina web: con Google Docs, per esempio, è necessario disattivare Shields se si vuole sfruttare la modalità collaborativa in tempo reale su Documenti, Fogli e Presentazioni. Nei siti di molte compagnie aeree e di compagnie di carte di credito, allo stesso modo, è necessario disattivare Shield per visualizzare correttamente la schermata di login, le opzioni di selezione del volo o eseguire il check-in online.
Fortunatamente, è possibile disattivare Shield sui singoli domini e la scelta rimarrà salvata anche nelle navigazioni successive. Se da una parte Shields permette di usufruire di contenuti senza fronzoli, dall’altra parte rimane comunque la necessità da parte dei gestori di siti web di monetizzare i propri contenuti.
È questo lo scopo di Brave Payments, la funzionalità di Brave che integra la cryptovaluta Basic Attention Token (BAT) per instaurare un’economia dei contenuti tra gli utenti (usufruitori) e i gestori di pagine web (creatori). Per poter usufruire della monetizzazione tramite Brave Payments, i creatori di contenuti sono tenuti a registrare un account tramite la piattaforma Uphold e collegare i propri siti web alla piattaforma Brave Rewards, che sarebbe la funzionalità Payments dalla parte dei publisher. Il riconoscimento del compenso per la navigazione degli utenti avviene in modo automatico dopo l’installazione di un plugin dedicato che è disponibile per la piattaforma WordPress. In generale, è possibile integrare il tracciamento anche se si utilizzano Content Management Systems diversi.
Dall’altra parte, è disponibile un sistema di monetizzazione nei confronti degli utenti. Si chiama Brave Ads e consiste nella remunerazione tramite visualizzazione di banner dedicati: l’utente visualizza il banner e riceve una ricompensa, che può poi riutilizzare per inviare donazioni ricorrenti ai publisher o per la visualizzazione dello specifico sito web.
Sempre più editori stanno applicando per diventare Brave Certified e quindi usufruire dei ricavi dai token. Tuttavia, Brave Browser come piattaforma, sebbene non sia più acerba, ha comunque ancora molta strada da fare. Ci sono dei punti critici che devono essere indicati, alla fine di tutte queste belle parole:
- La funzionalità Brave Sync, per sincronizzare le schede aperte e la cronologia, funziona tramite blockchain ma ancora ha problemi di sync, non funziona bene su ogni piattaforma;
- Il plugin Widevine, che serve per guardare contenuti protetti da DRM come quelli su Netflix, non funziona su Linux;
- Su iOS, Brave non utilizza il motore di rendering di Safari, ma nemmeno il WebKit a quanto sembra: l’app va spesso in crash, non è molto veloce né fluida - Chrome funziona meglio;
Brave Browser è di sicuro un pilastro dell’internet libero contemporaneo, ma ancora deve trovare una propria raison d’être sull’elettronica di consumo. Se rimane un’ottima scelta su Windows e macOS, su mobile ci sarebbe bisogno di una maggiore integrazione con i sistemi operativi - mi immagino un accordo con dei produttori per pre-installare l’app sugli smartphone.
Ah, comunque la risposta è no: non sto rimpiangendo Google Chrome. Su ambiente desktop Brave si comporta benissimo, perché è basato su Chromium: ho risparmiato un sacco di tempo non guardando migliaia di banner. La schermata indica il tempo risparmiato su un utente su un dispositivo: io ho 4 utenti Google loggati su 5 dispositivi differenti (due smartphone, un laptop, un desktop e un tablet), quindi il totale del tempo risparmiato è 20 volte quello che si legge qui sotto.
Rimpiango principalmente Safari su iOS, perché Brave non è in grado di integrarsi così bene come il browser predefinito. Ed infatti, alla fine di questi mesi di incubazione, ho deciso di disinstallare Brave sul mio iPhone e il mio iPad. Ma rimane su MacBook, su PC Windows e soprattutto su smartphone Android, su cui funziona davvero molto bene.
E quindi sì, si può fare il passaggio, seppur parziale, da Chrome a Brave. Anche se il mainstream non è ancora pronto a questa idea del ‘pagare per navigare’: fino ai primi anni 2000 pagavamo tantissimo la connessione internet con il modem a 56K, ma oggi che internet è quasi un bene primario per tutto il mondo (negli Stati Uniti lo è per legge) ed è molto economico avere una connessione ad internet, dovremmo iniziare ad abituarci che, per avere contenuti di qualità, dovremmo pagare (sebbene solo una cifra infinitesima). Siamo troppo abituati ad avere tutto gratis, e in questo periodo ne stiamo pagando le conseguenze, con scandali sulla privacy che non finiscono più.
Forse è ora di riprendere in mano la nostra identità e tenerla al sicuro sui nostri dispositivi, invece che in rete.
- Decentralised-first
- Cresciuto moltissimo in un anno
Pro
- Sync via blockchain non ottimale
- App iOS poco ottimizzata