Passerà.

Passerà.

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Passerà.

Si chiama pandemia, implica il lockdown, per fermare il virus. Tre termini che, insieme, ormai non mettono più ansia. Lo farebbero se fossero nuovi, se suscitassero emozioni diverse e più forti all’ascolto. E invece no, non suscitano proprio niente. Anzi, forse creano disgusto, nausea, mal di testa, spossatezza. Guarda caso, proprio i sintomi del virus.

È così invadente, questo virus, che paradossalmente è sempre più raro sentirne il suo nome oramai. Lo conosciamo tutti, non c’è più bisogno di esplicitare il soggetto. Nemmeno di identificarlo come Tu-Sai-Cosa, come fosse Lord Voldemort. Se si parla di scuole, di ospedali, di movida, e di tanto altro, non c’è altro contesto a cui ci si può riferire.

Sembra come una conversazione che non finisce mai, un botta e risposta che dura da mesi. Ad ogni botta, la risposta si propaga nella rete, e questa è una botta per una nuova risposta, e il ciclo continua.

Siamo sempre presenti, eppure così lontani. Mai come oggi vedo me stesso, e le persone care accanto a me - perché posso vedere solo loro - che cercano conforto nelle notizie del mondo. Nella rabbia generata da altri, che diventa la propria. La cercano su Facebook, su Twitter, sui giornali. Poi la solidificano con i talk show, che sono ora pieni di giornalisti e non sono più talk show, ma dibattiti nell’intersezione tra politica, società, filosofia e pressappochismo scientifico. Ovviamente, la cerco anch’io.

Poi si sbattono tra un reality show e l’altro: quelli veri, ovvero il Grande Fratello, Temptation Island e Il Collegio, e quello finto, Il Decreto. Che buffa la realtà ora, non è vero? A questo si aggiungono i match più interessanti: altro che quelli della Champions League o la Serie A! Fontana contro Ricciardi, Brusaferro contro Zingaretti: medici di politica contro politici da medicina (o è il contrario? Vabbè, decidete voi, fa lo stesso).

Tra la vita fuori - che possiamo vivere solo dentro - e la vita dentro - che vorremmo vivere fuori, il paradosso è senza precedenti. Ci era piaciuto lo ‘smart worki’ (cit.), ma ora lo stiamo rivalutando. Lo smart working è bello quando si può decidere da dove lavorare, non quando si è obbligati - di questo ce ne siamo accorti, e abbiamo anche capito che esiste la fatica da Zoom.

La nostra vita è sempre la stessa: sveglia, lavoro o studio, chat, pranzo, serie tv, podcast, lavoro, mangia, caffè, libro, articoli, youtube, Amongs Us (o Fortnite, o FIFA, o quello che è di moda nel momento), mangia, dormi, ricomincia. Selezionate liberamente una combinazione di questi, e avrete composto la vostra giornata.

Il contapassi segna 1.746 passi alle 20:00. La media del 2019 era 7.500. Ovviamente: si lavora tanto, ma da fermi. E che fai, non approfitti di questo periodo per fare qualche soldino in più? Non ne approfitti per trovare un metodo di lavoro migliore? Per leggere quegli articoli per cui prima non avevi tempo? Tanto questa pandemia si risolverà presto, no?

Ecco, questo siamo noi. Forse ognuno ha delle differenze in base al lavoro che fa, ma posso dire che questo, comunque, sono io. Mi dico che è una situazione passeggera, che passerà. Che devo sfruttare questo periodo al massimo, che non ne avrò altri come questo. Però non riesco a rendermi conto, davvero, che questo è un periodo difficile per tutti, tantissimo. Mi dico che ho solo 26 anni, e che quelli più grandi di me ne hanno viste di peggio. Ecco, forse no: forse solo quelli che hanno visto le guerre mondiali hanno visto di peggio. Ma non lo so, non ne ho la percezione, quindi non riesco ad usare questa informazione a mio vantaggio.

Non riesco a dirmi “Rilassati. Stai, stiamo tutti affrontando un periodo terribile in cui le relazioni sociali, pilastro della nostra esistenza in quanto animali sociali, sono inibite per affrontare una minaccia invisibile che tutto il mondo pensa di sconfiggere ma che ancora non ha dimostrato nemmeno di conoscere a fondo. La strada è ancora lontana, e prima ti rendi conto che puoi rilassarti e concederti delle debolezze, meglio è.”

Forse questo non succederà mai. Come non è successo e non succederà a moltissimi altri come me. Non ci lasceremo andare, non ci concederemo degli errori, delle mancanze. Però ci tenevo a scrivere queste righe per fissare, non solo nella memoria, le parole che ho pensato, perché le ho pensate, ma non sono riuscito a dargli peso. Non so se capita spesso anche a voi: sapete che è una cosa è sbagliata, oppure deve essere fatta in un certo modo, ma lo stesso continuate a fare come pensate. Perché non avete la percezione associata allo sbaglio, e quindi non vi colpisce. Non fa effetto, come quando si usa terremoto su un Pokémon di tipo volante: diamine, ma certo che non fa effetto, il pennuto vola! Non risente degli effetti della terra sotto di lui..

Così, allo stesso modo, non riesco a pensare che, se qualcosa va storto, alla fine stiamo nel mezzo di una pandemia e quindi ci sta che qualcosa possa andare storto. Forse mi sento così perché, in quanto giovane senza prospettive future garantite dallo stato di diritto, come uno che, per quel poco che ha fatto, si è fatto da sé con mille ostacoli e sempre controcorrente, una pandemia sembra solo un ostacolo in più.

E invece è una maledetta montagna, che si può scalare solo con un piccone e un paio di scarponcini belli duri.

Il problema è che può anche essere un intero pianeta da attraversare, ma io lo vedrò sempre e solo come un ostacolo da corsa di atletica leggera. Credo sia un problema della mia generazione.

E quindi ecco che l’unica soluzione per risolvere questo grande dilemma, tra scalare la montagna e aspettare che la montagna si sposti o si abbassi, è sempre la seconda.

Passerà.

Extra: una clip di un episodio recente di South Park spiega ancora meglio il paradosso

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Giacomo Barbieri

Giacomo Barbieri

Blogger with over 5 years of experience in blogs and newspapers,passionate about AI, 5G and blockchain. Never-ending learner of new technologies and approaches, I believe in the decentralized government and in the Internet of Money.

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