Ode all'Errore
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La scorsa settimana, a seguito della puntata sull’ovvietà della ricompensa, Stefano mi ha scritto su Facebook dicendomi che la puntata gli era piaciuta, ma che avevo commesso una leggerezza nel dire che la ricompensa di Elon Musk sia quella di vedere il pianeta in salute, mentre quella dell’insegnante di andare a farsi la vacanza.
Stefano aveva ragione. Avevo commesso una leggerezza, per descriverla con le sue parole: un errore, per descriverla con le mie.
Se avessi dovuto affrontare questa situazione un paio di anni fa, sarei stato a discutere con Stefano del fatto che io non volevo parlare di quello, che il mio era un altro discorso, e non avrei modificato nulla perché non ce n’era bisogno.
Ed invece quando me l’ha detto ho risposto con un semplice “ora che ci penso, è stata una leggerezza. Volevo fare degli esempi e non riuscivo a trovare la profondità giusta per tutti.” E ho cambiato il testo dell’articolo associato al podcast.
Ecco, questo è il tema di oggi: l’errore. Il saper ammettere che ci sia, e la bellezza nel farlo notare.
Da bambini siamo molto testardi: difendiamo le nostre opinioni basate sull’osservazione semplicistica della realtà. E cerchiamo di convincere i grandi che quello che diciamo ha un fondo di verità con sorrisetto e una bella faccetta, che scioglie i loro cuori. Non ci stanno a sentire.
Quando cresciamo e diventiamo adolescenti, la situazione peggiora. Con internet e l’accesso veloce e (a primo impatto) completo delle pagine Wikipedia e dei forum online, pensiamo di sapere tutto, e soprattutto pensiamo di saperne di più dei grandi. “Ma che ne sai tu, che non sai nemmeno come si accende un computer”. Ho usato spesso questa frase tra i 12 e i 18 anni. Posso dire che, almeno nel mio caso, internet ha alimentato la mia arroganza. Ho passato anni della mia vita su forum, senza mai scrivere nulla, ma leggendo tutto e ‘facendomi una cultura’ sull’hacking, l’informatica. Ho imparato tutto sul campo, ancora prima di intraprendere Ingegneria Informatica all’università. Mi sono sempre sentito sulla cresta dell’onda, ma non mi accorgevo mai che per fare questo, sacrificavo i temi di base. Magari sapevo cosa fosse la EEPROM di una PSP (Playstation portatile), ma non cosa fosse un indirizzo MAC. Oggi internet ci da la possibilità di parlare di cose anche se non sappiamo cosa realmente siano. Di argomentare senza conoscere. E di disquisire senza tenere in conto tutte le variabili.
Se fossimo agli inizi degli anni 2000, direi che internet sta democratizzando l’accesso all’informazione. Abbiamo tutto sognato l’utopia di un mondo in cui ognuno sa almeno le basi di tutto: che non esista l’analfabetismo, l’ignoranza, e che tutti acquisissimo pensiero critico e ragionamento produttivo.
E invece no: oggi internet si basa sulle fondamenta del ‘se ho letto questa cosa, posso dire la mia’. Che di per sé non è un male, per carità: ma se poi qualcuno fa notare che l’argomentazione affrontata è senza fondamento (‘stai a di ‘na marea de cazzate’), allora ecco che inizia il fenomeno conosciuto a tutti come Difesa dagli Hater(s) (DdH). “No ma che vuoi, ma io posso scrivere quello che mi pare, questo è un Paese libero, c’è libertà di espressione”. Sì, OK, ma se uno ti dice che la frase non è corretta - sintatticamente, grammaticalmente o concettualmente - cerca di capire le ragioni dell’altro. Cerca di avviare un dialogo costruttivo. Ovvio, ci sono diversi tipi di hater: quelli che vogliono trollare (ovvero fare casino e basta), quelli che vogliono farsi notare con frasi intelligenti che non c’entrano niente con l’argomento, ma poi ci sono anche i portatori di idee contrapposte, che vengono presi per hater solo perché sono fuori dalla nostra bolla di comfort (notare come ho definito la zona di comfort su internet ‘bolla di comfort’, una fusione tra i due concetti).
Io ho trovato un mio metodo per vivere più serenamente: accettare immediatamente che ho sbagliato, non appena me ne rendo conto. Molto spesso, infatti, mi capita di non capire che cosa mi si stia contestando - c’è anche un problema di comunicazione alla base.
Ma nella maggior parte dei casi, appena mi rendo conto che ho offeso qualcuno o che il messaggio che volevo trasmettere potesse essere travisato, ammetto l’errore. E correggo. Ammettere che si ha torto, ho imparato, è il modo migliore per andare avanti. Perché se si crea una discussione sulla ragione e sul torto, si crea un ciclo vizioso inutile che non terminerà mai, indebolendo relazioni e tagliando legami. E non vale la pena sprecare il nostro tempo su queste idiozie.
Perché creare odio attorno a noi? Ci fa forse vivere meglio? Non è meglio accettare di aver sbagliato? Molto spesso, con persone che non mi conoscono, questo atteggiamento li spiazza. Non siamo abituati, in questo periodo storico, a sentire qualcun’altro che ammette l’errore. Perché pensiamo, come ho detto prima, di sapere tutto. Ma io tengo bene a mente il ‘so di non sapere’ di Socrate. Oggi l’informazione, la cultura e il progresso scientifico aumenta in maniera incontrollabile.
È impossibile, per chiunque, sapere tutto. Basta accettarlo, e accettare l’errore verrà naturale. E quando si accetta l’errore, l’aver torto, si nota la sua bellezza nella reazione della controparte. Haters gonna hate si dice, ma solo perché nessuno ammette di aver sbagliato, si arrampica su specchi scricchiolanti che potrebbero rompersi da un momento all’altro.
Basta accettare che sbagliamo. Che siamo fragili. Che siamo in continuo cambiamento, e tutto verrà da se.
E voi? Accettate gli errori, le critiche? Avete degli hater? Avete provato a dire semplicemente che avete sbagliato? Se ci provate anche solo una volta, capirete quanto si sta bene.