Il Misticismo della Laurea
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“Ma quindi quando ti laurei?”
Mi hanno fatto questa domanda decine, centinaia di volte negli ultimi anni. Ho sempre risposto in un paio di modi: “sto studiando, ma sai, nel frattempo lavoro anche, quindi vado lento”, oppure “eh, in questo momento ho messo in pausa per qualche mese, il lavoro mi occupa tutta la giornata, non finisco mai”.
Ma non è mai così semplice.
Mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria Informatica nell’ottobre del 2013, e posso dire di aver vissuto la vita universitaria davverolo solo 5 mesi. A gennaio 2014, lo stesso giorno del mio primo esame, Geometria, ho fondato Tweaknology, un blog che è diventato in poco tempo la rampa di lancio per tutti quelli che ci hanno lavorato. Sono molto contento di quello che Tweaknology è stato per tutti noi.
Da quel momento, ho iniziato a dividere la mia vita tra studio e articoli, per circa un anno. Poi quello che scrivevo e pubblicavo mi rendeva sempre più visibile nell’ecosistema lavorativo, soprattutto quello tech e startup. E quindi, con proposte di lavoro di qua e di là, il tempo che dedicavo allo studio si assottgliava, in favore di quello dedicato al lavoro.
La mia non è una storia atipica, né originale. Conosco molte persone che, come me, ai primi anni di università hanno intrapreso attività che poi hanno definito la loro carriera.
Ho fatto tante cose diverse, negli anni che sono intercorsi tra il 2014 e oggi. Ad un certo punto, avevo deciso che l’università dovesse andare in secondo piano, perché se lo scopo di prendere una laurea è quello di trovare lavoro e io stavo già lavorando, non avevo più bisogno di una laurea. La logica era solida.
Nel tempo, mi sono accorto che mi stavo sempre più allontanando da quello per cui volevo vivere: avevo scelto di fare Ingegneria Informatica perché volevo diventare Ingegnere (e lo scrivo con la I maiuscola, sì) uno di quelli che, nel mio immaginario infantile, crea le cose straordinarie e quasi magiche che fanno andare avanti il mondo. Ed invece il mio lavoro stava diventando sempre più vicino al marketing e alla comunicazione. Non dico che non mi piace, anzi. Ho studiato parecchio per essere un public speaker e per sapere come si posiziona un prodotto, sebbene non mi riesca sempre bene. Però avevo fatto una scelta, anni fa, e non l’avevo fatta a caso: volevo diventare un ingegnere perché adoravo l’idea di creare cose dal nulla: creare un’app, un sito web, un’infrastruttura, un framework. Quando ho avviato Tweaknology, mi sono sentito allo stesso modo: sebbene abbia scritto poche righe di codice per sviluppare il sito, ho ‘smanettato’ tantissimo. Ho imparato a risolvere i problemi senza fermarmi al primo ostacolo, e a vedere come il pubblico reagiva a quello che sviluppavo. Era bellissimo.
Un paio di anni fa ho dato un esame all’apparenza piuttosto difficile, ma all’atto pratico molto semplice: Mobile Computing. Lo scopo era quello di creare un’applicazione mobile da zero usando Xamarin, un’ambiente di sviluppo per scrivere il codice una volta e tradurlo istantaneamente su tutte le piattaforme. Abbiamo fatto un’app utilizzabile in un paio di mesi, lavorandoci anche non troppo spesso. Eravamo in 4. Abbiamo sperimentato lo sviluppo collaborativo e l’integrazione fra design e sviluppo software. E abbiamo creato qualcosa.
L’app non è mai uscita su App Store, era solo un progetto universitario (tra l’altro avevamo sviluppato alcune funzionalità, come la segnalazione dell’affollamento di bus e tram, che oggi sono in Google Maps), ma io avevo provato di nuovo quell’ebrezza di creare.
Certo, avrei potuto creare qualcosa anche senza una laurea, ma sarebbe stato davvero un fallimento non portare a termine gli studi. Potevo tranquillamente laurearmi, perché sapevo che ero in grado di comprendere tutti gli aspetti dell’Ingegneria Informatica, quindi perché non farlo? E poi alcune materie, studiate bene, mi avrebbero fatto comprendere aspetti che forse se avessi studiato da solo non avrei compreso appieno.
E così, nei 12 mesi successivi, ho passato altri due esami: Basi di Dati e Algoritmi e Strutture Dati, molto specifici. In quel momento, mi sono reso conto che effettivamente avevo passato quasi tutti gli esami caratterizzanti del terzo anno, lasciando dietro solo un esame del terzo anno e alcuni esami del primo e secondo anno.
Posso dire che anche la mia ragazza ha fatto la sua parte, arrabbiandosi ogni volta che cazzeggiavo invece che studiare, ed infatti le sono grata: senza il suo costante supporto non avrei continuato in maniera così coerente.
Oggi racconto questa storia perché ho appena passato un esame critico, e mi mancano 3 esami alla laurea. Ho tutto il tempo di concentrarmi e di dare questi 3 esami nel corso dell’anno: questo podcast è anche una lettera di intenti. Se non mi laureo nel 2020, avrò fatto una figura di merda scolpita nell’internet per sempre.
Oggi mi sento più sicuro: fino allo scorso anno mi sentivo incastrato tra la promessa di laurearmi, quella di mandare avanti una startup, di lavorare ad un progetto importante, di accantonare sufficiente tempo per stare con la mia famiglia e la mia ragazza. Ora invece, dopo che ho scelto di ‘razionalizzare’ la mia vita eliminando tutto ciò che era possibile, mi rendo conto che, focalizzandomi solo sulla laurea e sul mio lavoro (che fortunatamente ora è flessibile), posso finalmente portare a termine qualcosa.
Conosco tanti ex-colleghi universitari che hanno lasciato l’università: chi per lanciare un’azienda di successo, chi per focalizzarsi sul lavoro. Li capisco: anche io sono passato in quella fase, quella in cui l’università è in secondo piano. Probabilmente, se avessi saputo che avrei potuto creare un’attività senza dovermi laureare, non avrei nemmeno iniziato l’università.
Ma, credo forse anche grazie all’università, che mi ha fatto conoscere persone come me e con i miei stessi interessi, ho capito che potevo farcela.
Prendere la laurea oggi, per me (e credo per molti altri della mia generazione), non è un modo per accedere al mondo del lavoro, anzi: conosco tantissime persone che sono uscite con 110 e lode dalla magistrale di qualsiasi facoltà e che fanno fatica a trovare lavoro in Italia, o a trovare un lavoro che sia pagato bene e in maniera equa.
Prendersi la laurea è un modo per dire che sì, il pezzo di carta ce l’abbiamo. Che sappiamo cosa vuole la generazione dei professori che ci insegnano tecnologie e metodologie nate prima di noi. Ma che se mentre prendiamo la laurea stiamo anche lavorando, vuol dire che quando non avremo più il pensiero di doverci laureare, saremo liberi di pensare a creare le tecnologie e le metodologie del futuro.
E che le trasmetteremo agli altri usando metodi innovativi, non convenzionali che inventeremo in base all’esigenza, al bisogno.
E quella sarà la nostra rivincita.