I miei fallimenti del 2020
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Potete scegliere di ricordare tutto il male che l’universo ha provocato per l’essere umano sulla Terra nel 2020, o potete andare oltre.
Lo scorso anno il mio post è stato ottimista: avevo imparato un sacco di cose, ed ero pronto a utilizzare tutti gli insegnamenti appresi per fare del 2020 un grande anno di ripresa, di ribalta.
E per carità: a guardare il mio foglio di calcolo con gli obiettivi del 2020, devo dire che sono andato egregiamente, migliorando di molto la mia posizione personale, la mia stabilità finanziaria e costruendo tutti i mattoncini del mio futuro: il prossimo anno mi laureerò (se tutto va bene), mi sposerò (se un altro lockdown non ce lo impedirà) e mi trasferirò dentro Roma con la mia futura moglie.
Ma questo non è un post ottimista sul futuro. Questo è un post negativo sul male assoluto. Ho deciso di farlo così, perché è inutile pensare al bene se non si conosce il male. Solo conoscendo il male, il dolore e la disperazione si può davvero apprezzare il bene nella sua forma più pura - quando arriva.
Lo scorso anno ho imparato a viaggiare, quest’anno ho imparato a stare fermo. Lo scorso anno non avevo una prospettiva di lavoro stabile (non fissa, quella mai, ma per scelta di vita), quest’anno mi sento un giornalista e un professionista di contenuti e community.
Quest’anno ho imparato a conoscere il dolore. In tutte le sue forme: quando sono rimasto a casa per 3 mesi senza vedere la mia futura moglie, quando ho letto tutti i DPCM per capire cosa potevo e non potevo fare.
Ho guardato molte meno serie TV dello scorso anno e quindi ho trovato molto tempo in più per studiare, e infatti ho passato 4 esami su 5, ma ho passato più di 200 ore a giocare e a studiare i DPCM per sentirmi più tranquillo. E invece mi sono depresso ancora di più.
Ho passato solo 4 esami su 5, quando il mio obiettivo era di 5 e quindi di laurearmi. Volevo leggere 15 libri, e invece ne ho letti solo 12, di cui 5 graphic novel. Ho giocato tantissimo per dar sfogo alla mia solitudine in molti momenti, e per sentirmi onnipotente almeno in un mondo fantastico, datò che nella realtà avevo lo stesso potere di un sasso sul fondo del mare: fermo, che aspetta che qualcuno lo smuova dall’alto.
Volevo scrivere questo post il 31 dicembre, e parlare dell’ottimismo che il 2021 ci avrebbe portato. E invece non ha senso, e il prossimo anno sarà un grande punto interrogativo.
Ogni anno, dal 2017, misuro i grandi obiettivi della mia vita. Per il prossimo, non ho idea di cosa mettere. Non ho la più pallida idea di cosa succederà.
Sono sicuro che i miei obiettivi cambieranno molto tra la prima e la seconda metà dell’anno, quello sì. Ma non riesco, come ho fatto nel 2019, a prevedere l’impegno che potrò mettere nel fare questo o quello. Nel 2020 avrei voluto correre tantissimo, e infatti ho iniziato bene. Ho fatto anche tanta attività, e poi è andato tutto in malora. Ora studio e lavoro, e non mi muovo per limitare al massimo gli spostamenti, andando solo a trovare la mia fidanzata, e questo mi fa stare malissimo. Vorrei correre, vorrei andare in bici, vorrei farlo quando mi pare e vorrei che si smettesse di lavorare in smart working per un po’, perché significa lavorare molto di più, e io voglio una pausa da tutto questo.
A dire il vero, penso che nel 2021 lavorerò decisamente di meno del 2020. Ma soprattutto perché nel 2020 ho lavorato come mai mi è successo da quando lavoro: tantissimo, senza sosta. Mi verrà molto difficile ripetere gli stessi numeri. RescueTime mi dice che sono stato 4100 ore al pc o al telefono, un incremento di circa il 70% rispetto al 2019. Sono anche stato produttivo (e l’ho percepito), ma l’aumento della produttività (misurata come ore impiegate a svolgere attività che hanno portato valore ai miei obiettivi) ha portato solo alla monotonia.
Per me, che ho fatto oltre 400 viaggi tra il 2017 e il 2019, svegliarmi tutte le mattine nello stesso letto e fare sempre le stesse cose (colazione, vestirsi, mettersi alla scrivania, lavorare fino alle 13, pranzare, rilassarsi 30 minuti, riprendere fino alle 18, rilassarsi) è stato distruttivo. Davvero, mi sento proprio scarico e apatico, se penso a com’ero prima. Ho avuto dei momenti belli, bellissimi (quando ho chiesto alla mia fidanzata di sposarmi su tutti), ho forzato le mie capacità creative per produttore articoli e ricerche su La Stampa che mi hanno stimolato tantissimo e mi hanno fatto conosce tante persone e idee nuove, ma li posso definire solo, come direbbe Schopenhauer, come il percorso del pendolo della vita, che oscilla tra dolore e noia. Attimi che sono destinati a essere sovrascritti in fretta da nuove situazioni di disagio.
Non so se questo mio pensiero è il risultato del fatto che sto crescendo e sto conoscendo il mondo sempre più per quello che è, ma mi sento sempre più cupo e meno ingenuo. Quando ho iniziato con Tweaknology nel 2014, non facevo altro che lodare l’innovazione ed essere ottimista sul futuro, e a ostentare i miei successi (sì, l’ho fatto). Mi rendo conto che quello era il percorso perfetto per diventare un influencer, con tutti i seguaci che commentano con complimenti, congratulazioni e celebrazioni per i successi raggiunti. E invece da un paio d’anni a questa parte, forse proprio dal momento in cui ho lasciato la società che avevo fondato, non faccio altro che celebrare i miei fallimenti, e ostentare quanto sia incapace di raggiungere certi obiettivi.
Per carità, qualcosa di buono riesco anche a farlo. Ma credo che il motivo per cui fallisco così tanto è che mi pongo degli obiettivi sempre grandi, irrealistici e irrealizzabili per i mezzi che ho a disposizione. Quello che viene fuori è che raggiungo dei risultati accettabili, che vengono percepiti come ottimi dal mondo esterno.
Ma che ci sto a fare al mondo, se non provo a fare cose impossibili? Se non provo continuamente a superare i limiti, a uscire sempre dalla mia zona di comfort, che diventa così sempre più grande? Io non sono capace di fare altro. Ed è quello che farò nel 2021, senza troppi fronzoli: amplificherò ancora di più la mia zona di comfort, e gli obiettivi saranno sempre gli stessi. Quest’anno la mia zona di comfort è aumentata moltissimo, ma io sono rimasto dov’ero. Ho visto i confini che posso superare, ma non ho potuto fare niente per andare oltre. Il prossimo anno potrei provare a varcali, se le restrizioni alla libertà personale saranno sollevate.
Ecco, è inutile che ci raccontiamo che tutto andrà bene. Non andrà bene niente neanche per il cazzo. E così che dobbiamo pensare, per poter sopravvivere al 2021. Negli ultimi 12 mesi abbiamo pensato che tutto sarebbe andato bene, ma i numeri invece ci dicono che la pandemia ha solo peggiorato. E probabilmente peggiorerà ancora, nonostante i vaccini. Perché comunque ci vogliono anni per vaccinare tutta la popolazione, non giorni e nemmeno mesi. Quindi, perché sperare che tutto andrà bene quando, almeno per il breve termine, non sarà così?
È ovvio che tutti questi ragionamenti sono adatti alla stragrande maggioranza delle persone che, come me, non ha la capacità di pensare e concepire il futuro oltre un arco temporale di 12 mesi. Praticamente tutti i millennials, perlomeno. Se c’è qualcuno che riesce a dire ‘andrà tutto bene’ e veicolare questo concetto facendo intendere che accadrà tra un anno o più, ben venga, sono pronto ad ascoltarlo. Ma per il resto, lasciate ogni speranza, o voi che entrare (nel 2021): sarà ancora peggio di quest’anno, e pensarla così è l’unico metodo che riesco a concepire per affrontare e sopravvivere al futuro.
La mia immagine con gli obiettivi non cambia di molto, ma acquisisce lo sfondo bianco e ha una forma di arcobaleno: voglio sperare che gli obiettivi del 2021 mi portino a essere più ottimista per il 2022, che mi ricordino che ho raggiunto tanti traguardi, e che i progressi del 2019 non sono andati sprecati: è solo una pausa, e poi si ritornerà più forti di prima. Voglio emozionarmi per ogni cosa buona che succederà nel 2021, perché sarà inaspettata e imprevista. E lo posso fare, bene, solo se non ho nessun tipo di aspettativa.
Buon (?) 2021, gente.