Il falso mito del Deep Work

Il falso mito del Deep Work

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Ci sono delle conversazioni che si fanno perché ne vale la pena; altre invece tutti le pensano ma nessuno ha il coraggio di farle; altre ancora perché ripeterle non è mai abbastanza, ma ognuno inizia la conversazione a modo suo, ed è questo che da valore. Sì, non è semplice capire di cosa sto parlando, sono molto vago, decisamente troppo. Ci arrivo, piano piano. Questa è una di quelle conversazioni, quelle che tutti pensano ma che nessuno ha il coraggio di affrontare.


Nella mia vita, mi sono sempre più o meno considerato una persona creativa: sia da piccolo, ma anche oggi nel creare storie, prodotti, servizi, discussioni, idee. Fino alla mia adolescenza, ho sempre vissuto la vita come se non avessi saputo se nel secondo successivo fosse caduto un asteroide o meno. In quel periodo, tutto era una priorità. Ora che ci penso, fino a due-tre anni fa gestivo il mio tempo e la mia vita allo stesso modo: come se ogni momento fosse giusto per fare qualsiasi cosa.

Consideravo, quindi, il tempo come un insieme di punti in cui ogni punto poteva essere scambiato con l’altro. Un secondo o un minuto alle 7 di mattina aveva lo stesso sapore, la stessa difficoltà, la stessa essenza di un minuto o secondo alle 8 di sera, o perfino a mezzanotte. Non riesco a ricordare quante volte ho studiato alle 2 di mattina, ho giocato alla Playstation appena sveglio alle 8, ho pranzato alle 3 di pomeriggio e cenato a mezzanotte. Soprattutto quando mi trovavo a fare l’ERASMUS in Germania, nel 2016, avevo una routine assurda. Però avevo la sensazione, l’impressione che stavo facendo un sacco di cose. Ed in effetti stavo facendo un sacco di cose, perché giravo molto, scrivevo molto, incontravo tante persone. Ma non stavo facendo delle cose con senso.

Me ne sono accorto solo a posteriori, quando ho iniziato a connettere i puntini. Connettere i puntini, che è un concetto che viene dall’inglese connecting the dots, è l’arte di ricostruire le ragioni per le quali si è arrivati ad un certo punto nella propria carriera lavorativa o nella sfera personale.

Quando ho iniziato, appunto, a connettere i puntini cercando di capire cosa fosse andato bene nella mia vita e cosa no, cosa mi aveva fatto perdere tempo e cosa mi aveva fatto guadagnare di più, mi sono trovato a prendere delle decisioni difficili con molta più facilità di quanto avessi mai pensato. Connettere i puntini significa razionalizzare la propria vita e mettere a fattor comune gli aspetti positivi e negativi di quello che abbiamo fatto, di cosa siamo stati e di quello che abbiamo avuto. Io, purtroppo o per fortuna, sono un ottimista di natura. Per me, gli aspetti positivi sono ottimi perché mi fanno capire cosa mi fa bene e cosa devo continuare a fare, e gli aspetti negativi sono ancora meglio perché mi fanno capire cosa non devo fare. Per me, fallire o sbagliare è ancora più significativo di fare bene perché significa che c’è margine di miglioramento.

Forse non si capisce dove sto andando a parare, perché solitamente quando si parla dell’argomento indicato dal titolo di questa puntata, si parte da tutt’altre assunzioni. Sul deep work, sul lavoro concentrato, hanno scritto in tantissimi, ma tutti partono dalla stessa premessa: è qualcosa che serve per migliorare la propria produttività.

Vedere il lavoro focalizzato come un miglioramento è un grandissimo errore secondo me, perché presuppone che quello che oggi facciamo non abbia valore. Ed invece, partendo dalle considerazioni e dalle premesse che ho specificato prima, la sostanza cambia radicalmente: il lavoro focalizzato è la conseguenza di un lavoro interiore che ognuno dovrebbe fare su se stesso, che non c’entra niente con le notifiche di Whatsapp che disturbano la nostra quiete, con le mail che ci assillano e con i social network che invadono i nostri momenti di noia. Non c’è una regola che vale per tutti per diventare il lavoratore produttivo.

Per un social media manager, per esempio, la misura della produttività potrebbe dipendere direttamente da quanto tempo sta sui social. Da quanto li conosce. Per un analista di serie TV (sì, esiste questa figura), potrebbe essere quello di guardare il maggior numero di serie TV. Per il recensore di prodotti, potrebbe essere in generale il tempo a testare un nuovo telefono o una nuova tv o un nuovo gioco.

Cosa vuol dire allora lavoro focalizzato? Ascoltiamo sempre questi guru della produttività che ci dicono che dobbiamo togliere Instagram dal nostro telefono, dobbiamo metterlo in non disturbare e dobbiamo lavorare da soli.

Ma niente di tutto questo è vero. O meglio, non è una regola di vita. Quello che davvero conta è la struttura mentale che porta al lavoro focalizzato. Partendo dalle assunzioni che ho fatto prima, il primo ragionamento che viene in mente è: guardando indietro la mia vita, quello che ho fatto ha portato ai risultati che mi ero prefissato? Tutte le domande si devono riferire al passato, non al futuro. Il futuro non è ancora avvenuto, mentre sul passato possiamo “””lavorarci”””, possiamo usarlo a nostro favore.

Cos’è che mi rende felice? Cosa mi rende triste? Perché faccio quello che faccio? Se faccio qualcosa che mi rende felice, sarò estremamente concentrato nel farlo, perché ho voglia di fare quella cosa. Se una cosa mi rende triste, le situazioni sono diverse: se è una cosa che posso non fare, non la devo fare, molto semplicemente. Se è una cosa che devo fare, provo a capire se il fatto che mi renda triste o infastidito o arrabbiato è una situazione passeggera: rimando quell’attività ad un altro momento.

Se non posso rimandarla, o se anche rimandandola la situazione non cambia, forzo un comportamento che si definisce temptation bundling, raggruppamento delle tentazioni: in coordinamento con un’altra persona, che sarà il partner di responsabilità di quell’attività, definisco una ricompensa al completamento di quell’attività, spostando la felicità sulla ricompensa: ora sarò più felice di fare quell’attività, ma non per l’attività in sé, bensì per la ricompensa che ne seguirà. Posso attuare il temptation bundling anche accoppiando l’attività noiosa e ‘triste’ con un’attività in background che mi dia un qualche tipo di gioia, come per esempio ascoltare una playlist di musica che mi piace. Oppure posso accoppiare un attività che vorrei fare con una che dovrei fare, come per esempio compilare un foglio di calcolo (noiosa) e ascoltare un podcast (bello).

Un altro aspetto molto importante è sapere a che serve quello che stiamo facendo. Molto spesso ci troviamo a fare cose solo perché, per inerzia, queste determinate attività ha senso farle. Ma non è detto manco per niente, si direbbe a Roma.

Bisogna periodicamente rivedere l’obiettivo associato ad ogni attività. Molte attività possono essere cambiate, aggiornate, ricreate o eliminate totalmente. Noi cambiamo, e il modo in cui facciamo le cose cambia con noi.

Oggi passo molto tempo della mia giornata a fare cose che mi piacciono, e quando qualcosa non mi piace cerco di farla usando il temptation bundling. Molte volte, inoltre, mi ritrovo a non aver voglia di fare nulla. Fino a poco tempo fa mi vergognavo anche solo di sentire questa sensazione. “Devo lavorare, non posso pensare di starmene a non fare nulla”, pensavo. E mi mettevo a scrivere, mandare mail, a forza. Non vi dico quante cose abbia sbagliato in questi momenti. Anche solo scrivere una mail può essere un’impresa titanica, se non si ha voglia di farlo. Basta aspettare. Fare qualcos’altro nel frattempo, e tornarci dopo. Io lo faccio spessissimo. Poco prima di scrivere gli appunti per questa puntata, per esempio, avrei dovuto scrivere alcune cose, controllare alcuni documenti e pianificare alcune attività. Non mi andava di fare niente. Mi sono messo a leggere alcuni articoli che avevo salvato su Pocket, e poi ho deciso di iniziare a scrivere qualche riga. Ed ora mi appresto a finire questa puntata, scritta tutta d’un fiato. Con una concentrazione altissima, senza mai fermarmi. Con tantissime distrazioni circostanti, che però non mi hanno veramente distratto dalla mia scrittura.

Il lavoro concentrato è una questione di volontà, ecco. E dovrebbe esistere, in quest’epoca storica di distrazioni continue, un percorso educativo per stimolare le sessioni di lavoro focalizzato. Vi lascio sempre con delle domande, per farvi rimanere con degli spunti su cui riflettere. Cos’è che vi rende felici?

Cosa vi rende tristi? Perché fate quello che fate? Io sono partito da qui, e ci sono giorni in cui, tra lavoro e studio, accumulo 12-13 ore di impegni, che non mi pesano affatto. E alcuni giorni non arrivo nemmeno a 5 ore. Ma è così che funziona: non forzare nulla e renderci pronti a lavorare quando meglio possiamo.

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Giacomo Barbieri

Giacomo Barbieri

Blogger with over 5 years of experience in blogs and newspapers,passionate about AI, 5G and blockchain. Never-ending learner of new technologies and approaches, I believe in the decentralized government and in the Internet of Money.

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